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La nuova proposta di concordato preventivo alla luce del Codice della crisi d’impresa

di Francesco Andrea Falcone - AIDC Taranto | 9 Agosto 2019
La nuova proposta di concordato preventivo alla luce del Codice della crisi d’impresa

Nel Codice della crisi d’impresa, introdotto dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, l’istituto concordatario subisce alcune importanti modifiche. Infatti, il concordato preventivo viene normato secondo due modalità differenti, la prima volta a garantire la continuità aziendale, mentre la seconda con finalità liquidatorie.
La scissione dell’istituto in due esplicite applicazioni è dovuta principalmente al favore riconosciuto dalla norma all’opzione della continuità produttiva rispetto al caso della liquidazione, secondo il generale orientamento che investe tutta la riforma.
La proposta dell’imprenditore per l’accesso alla procedura subirà gli effetti di questa duplice possibile applicazione, secondo le modalità che si illustrano di seguito.

L’accesso alla procedura

L’art. 85 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, chiarisce che la proposta di accesso alla procedura, nel rispetto del requisito preventivo dell’esistenza di uno stato di crisi o di insolvenza, debba prevedere necessariamente la presentazione di un piano di concordato - i cui elementi caratterizzanti sono contenuti nel successivo art. 87 - che disponga:

  • la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti con qualsiasi modalità che comprenda anche cessione di beni, accollo od operazioni straordinarie, compresa l’attribuzione ai creditori o società da questi partecipate di azioni, quote od obbligazioni anche convertibili o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
  • l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta ad un assuntore;
  • la suddivisione dei creditori in classi;
  • trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

La norma contiene un orientamento generale rivolto alla risoluzione della crisi o dell’insolvenza con tutte le modalità possibili.

Si badi all’opzione che prevede la cessione di titoli, azioni o quote ai creditori o società da questi partecipate, i quali potrebbero essere chiamati ad entrare nella gestione dell’impresa in luogo della remissione delle proprie pretese creditizie semplicemente in applicazione della procedura di concordato. Condizione non impossibile da realizzarsi.

 

La presentazione della proposta

La presentazione della proposta di concordato richiede che si ottemperi all’esibizione di diversi documenti, alcuni indicati negli artt. 8587 del decreto ed altri nell’art. 39.

Iniziando da questo, infatti, l’imprenditore che desideri accedere a qualsiasi procedura prevista dal Codice della crisi e dell’insolvenza e, di conseguenza, anche all’istituto del concordato preventivo, dovrà presentare al Tribunale competente:

  1. le scritture contabili e fiscali obbligatorie tenute dall’imprenditore;
  2. le dichiarazioni dei redditi dell’ultimo triennio antecedente la presentazione della proposta e, se l’impresa è stata costituita da tempo inferiore, le dichiarazioni corrispondenti;
  3. i bilanci degli ultimi tre esercizi;
  4. una relazione sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata;
  5. uno stato particolareggiato ed estimativo delle attività;
  6. l’elenco nominativo dei creditori e l’indicazione dei rispettivi crediti e cause di prelazione;
  7. l’elenco nominativo di coloro i quali vantino diritti reali e personali su beni in possesso dell’imprenditore, l’indicazione dei beni stessi e del titolo da cui sorge il diritto;
  8. idonea certificazione dei debiti tributari, previdenziali ed assicurativi;
  9. una relazione riepilogativa sugli atti di straordinaria amministrazione compiuti nel quinquennio precedente la presentazione della proposta.

La proposta può essere condizionata anche alla richiesta di un termine, compreso tra i 30 ed i 60 giorni, prorogabile di ulteriori 60 giorni su richiesta del debitore, in presenza di giustificati motivi ed assenza di istanze per la liquidazione giudiziale, entro il quale lo stesso debitore presenterà:

  • una proposta di concordato preventivo;
  • il piano di concordato;
  • una attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità;
  • tutta la documentazione di cui ai precedenti punti da 1 a 9.

Siamo nella condizione dell’istituto del concordato “in bianco”, regolato dall’art. 44, comma 1. L’istituto ha finalità prenotative e consente all’imprenditore che non è dotato anticipatamente di tutti gli strumenti previsti dall’art. 39 di dotarsene nei tempi consentiti dal giudice, nel limite massimo di 120 giorni.

 

Il piano di concordato

Argomento di maggiore rilievo probabilmente è quello contenuto nell’art. 87 del decreto legislativo di riforma.

Unitamente alla proposta di concordato, che evidentemente ha i caratteri di un’istanza formulata al Tribunale di competenza, l’imprenditore presenta un piano, che contenga:

  1. la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta;
  2. la descrizione delle cause della crisi;
  3. la definizione delle strategie con cui si intenderà operare e, nello specifico del concordato in continuità, una descrizione dei tempi necessari per ripristinare l’equilibrio della situazione finanziaria;
  4. la descrizione delle azioni risarcitorie e recuperatorie eventualmente esperibili, con separata indicazione di quelle proponibili solo nel caso in cui la procedura addivenga alla formula della liquidazione giudiziale ed indicazione delle prospettive di recupero;
  5. la descrizione dei tempi delle attività da compiersi, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti;
  6. in caso di continuità aziendale, le ragioni per le quali questa è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori;
  7. ove sia prevista la prosecuzione dell'attività d'impresa in forma diretta, un'analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;
  8. la relazione di un professionista indipendente, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano. Se il concordato è in continuità, la relazione di un professionista indipendente ha anche la funzione di attestare che la prosecuzione dell’attività è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori.

 

La relazione di un professionista indipendente

Quanto alla nomina del professionista indipendente, è opportuno approfondire alcuni aspetti che discendono direttamente dalla preesistente legge fallimentare, ex art. 67, terzo comma, lett. d), del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, adattati al contenuto della riforma. Il professionista indipendente:

  1. è incaricato dal debitore e non da altre istituzioni;
  2. deve essere selezionato tra gli iscritti all’Albo dei gestori della crisi e dell’insolvenza o tra gli iscritti al Registro dei revisori legali;
  3. deve possedere i requisiti di cui all’art. 2399 c.c.;
  4. non può essere legato a rapporti di alcun tipo con l’impresa o le altre parti interessate alla regolazione della crisi.

Al netto di queste considerazioni preliminari, la sua relazione si comporrà di volta in volta in funzione degli aspetti descrittivi legati alla proposta dell’imprenditore. In particolare, cosa assai complessa, nella attestazione della convenienza alla continuità gestionale, il professionista dovrà necessariamente effettuare uno sforzo previsionale, fondato su criteri quantificabili in qualche misura, al fine di assicurare agli organi della procedura ed ai creditori, la rappresentazione di elementi di certezza.

Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili pubblicò, già nel 2014, un documento contenente dei principi di attestazione dei piani di risanamento, che hanno costituito per lungo tempo, prima della riforma del 2019, le linee guida a cui guardare come riferimento metodologico.

Con i dovuti accorgimenti e tenendo presente il contenuto e le finalità del nuovo Codice della crisi, l’attenzione del professionista dovrebbe essere rivolta preliminarmente a rilevare:

  1. la mancata svalutazione delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie;
  2. l'impropria capitalizzazione di costi d'esercizio;
  3. la mancata svalutazione delle rimanenze;
  4. la violazione del principio di competenza economica;
  5. il mancato/errato stanziamento di fondi rischi ed oneri;
  6. l'omessa rilevazione di debiti.

Seguirà necessariamente l’espressione di un giudizio di “veridicità” dei dati aziendali ricevuti e sui quali il professionista dovrà effettuare la propria attestazione ed un giudizio incondizionato di “fattibilità” del piano, con conseguente assunzione di responsabilità da parte del certificatore.

Infine, certamente, il contenuto della relazione dovrà esprimersi in tema di coerenza tra le ipotesi e lo sviluppo temporale del piano ed in tema di correttezza e coerenza dello sviluppo quantitativo del piano, al fine di garantire il superamento della crisi.

È facilmente comprensibile che non è possibile utilizzare alcuno schema standardizzato per arrivare alla finalità di attestare una relazione di questo tipo. Le condizioni variabili, a seconda della fattispecie, sono talmente tante da rendere inattuabile una forma precostituita di valutazione da adattare al caso.

Di certo, però, l’orientamento consolidato fornito dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili resta tutt’ora valido, nonostante le modifiche subite dalla legge italiana in materia di crisi d’impresa. 

 

Riferimenti normativi:

  • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, artt. 39, 44, da 84120 e da 240 a 267.

 

 

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