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RIFORMA FISCALE
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Le novità per gli impatriati dal 2024

di Silvia Bettiol, Adriana Barea | 11 Gennaio 2024
Le novità per gli impatriati dal 2024

L’art. 5 dell’oramai noto D.Lgs. n. 209/2023, recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, riscrive le disposizioni che regolamentano il regime agevolativo per i lavoratori impatriati. In buona sostanza, la norma abroga l’art. 16 D.Lgs. n. n. 147/2015 (regime speciale per lavoratori impatriati) e i commi 2-bis2-ter2-quater dell’art. 5 del D.L. n. n. 34/2019 (Decreto “Crescita”). La novella è entrata in vigore il 29 dicembre 2023. Illustreremo nel presente intervento le principali novità con cui dovranno confrontarsi i soggetti che intendono rientrare in Italia dal 2024.

Le novità

Il comma 1 dell’art. 5 del Decreto “Internazionalizzazione” prevede che:

I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo derivanti dall’esercizio di arti e professioni prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, entro il limite annuo di 600.000 euro concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare.

La novellata norma si differenzia dal soppiantato art. 16 per i seguenti aspetti:
• viene introdotto un limite massimo annuo di reddito agevolabile, fissato in 600.000 euro;
• risulta detassato il 50% del reddito complessivo, in luogo del pregresso 70%;
• il periodo agevolato è fissato in 5 periodi d’imposta (salvo l’ipotesi marginale dell’allungamento a 8 anni se l’impatriato ha acquistato un immobile nel 2023);
• non rientrano nel regime agevolativo i redditi di impresa.

La percentuale di cui sopra è elevata al 60% nel caso in cui il lavoratore si trasferisca in Italia con un figlio minore o in ipotesi di nascita/adozione di un figlio minore durante il periodo di fruizione del regime agevolato (art. 5, commi 4 e 5). Si presti, tuttavia, attenzione al fatto che la maggior agevolazione compete solo a condizione che il minore sia residente in Italia.

Ovviamente, il regime agevolativo in parola trova applicazione al ricorrere di determinate condizioni.

In buona sostanza:

  1. i lavoratori si impegnano a risiedere fiscalmente in Italia per almeno 4 anni, in luogo dei 2 richiesti dall’abrogato art. 16. Se la residenza fiscale in Italia non è mantenuta per almeno quattro anni, il lavoratore decade dai benefici e si provvede al recupero di quelli già fruiti, con applicazione dei relativi interessi.
  2. i lavoratori devono risultare non fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il loro trasferimento. Vedremo nel paragrafo “Alcune disposizioni particolari” che il periodo di permanenza all’estero richiesto può arrivare anche a sette anni.

La norma, che è entrata in vigore dal 2024, si differenzia dalla precedente per un ulteriore aspetto. Essa, infatti, richiede come in passato che l’attività lavorativa sia prestata nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta, ma richiede altresì che i lavoratori impatriati siano in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D.Lgs. 28 giugno 2012, n. 108 e dal D.Lgs. 9 novembre 2007, n. 206.

Precedentemente, invece, al di là del biennio di residenza all’estero, non vi erano requisiti di qualificazione della figura professionale.

L’agevolazione in parola si applica a partire dal periodo di imposta in cui avviene il trasferimento della residenza fiscale in Italia e nei quattro periodi d’imposta successivi.

Ai sensi del comma 10 dell’articolo in commento, limitatamente ai soggetti che trasferiscono la propria residenza anagrafica nell’anno 2024, l’agevolazione si estende per ulteriori tre periodi di imposta nel caso in cui il contribuente sia divenuto proprietario, entro la data del 31 dicembre 2023 o, comunque, nei dodici mesi precedenti al trasferimento, di un’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale in Italia.

Si badi che la norma precisa che l’acquisto deve essere riferito ad un abitativo da qualificare come abitazione principale. Nel precedente art. 5 D.L. n. 34/2019 era sufficiente che l’impatriato diventasse proprietario di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale. Tale unità immobiliare poteva essere, peraltro, acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà. Anche questa previsione è venuta meno.

Il previgente art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 prevedeva un’estensione, rispetto all’iniziale quinquennio, di ulteriori 5 anni agevolati in presenza di figli minori e/o a carico e/o in ipotesi di acquisto di un immobile in Italia durante il primo quinquennio.

Per i contribuenti che si trasferiscono nel Mezzogiorno, la novellata norma non ripropone l’agevolazione maggiorata contemplata dall’abrogato art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 dove era prevista una detassazione pari al 90% del reddito per il primo quinquennio.

Appare di tutta evidenza come la volontà del legislatore sia stata quella di stringere le maglie del regime agevolativo in commento.

La residenza estera dimostrabile ai sensi di una Convenzione

Come per il passato, anche il nuovo art. 5, comma 6, Decreto “Internazionalizzazione”, ammette al beneficio anche i cittadini italiani che non si erano iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) purché questi dimostrino di aver avuto, per almeno un triennio, la residenza fiscale in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi.

Il periodo di residenza estera richiesto aumenta a 6 o 7 anni se l’impatriato continua a lavorare per il medesimo datore di lavoro o per un datore di lavoro appartenente allo stesso gruppo.

Alcune disposizioni particolari (smart working e distacco)

Alcune disposizioni particolari sono previste per i lavoratori che rientrano a lavorare in Italia in favore dello stesso soggetto presso il quale erano impiegati all’estero (o verso un soggetto appartenente allo stesso gruppo).

In questo caso il periodo di permanenza all’estero richiesto prima del rientro è elevato a:

  • sei periodi d’imposta, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo;
  • sette periodi d’imposta, se il lavoratore, prima del suo trasferimento all’estero, è stato impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.

L’iscrizione anagrafica entro il 31 dicembre 2023

L’art. 5, comma 9 prevede per i contribuenti che hanno provveduto all’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente entro il 31 dicembre 2023, pur acquisendo la residenza fiscale nel 2024, che per essi continui a trovare applicazione la “vecchia” disciplina del regime degli impatriati regolamentata dall’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015 e art. 5 D.L. n. 34/2019. Ciò al fine di evitare che la norma assuma valenza retroattiva.

Riferimenti normativi: 

Sullo stesso argomento:Bonus impatriati

Questo documento fa parte diRIFORMA FISCALE 2023