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MANOVRA 2022, BILANCIO
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Avviamento e marchi rivalutati con ammortamento a 50 anni

Le alternative previste dal nuovo regime: una scelta da valutare con attenzione

di Francesco Barone | 12 Gennaio 2022
Avviamento e marchi rivalutati con ammortamento a 50 anni

La legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234) ha apportato delle modifiche alla disciplina della rivalutazione dei beni d’impresa, contenuta nel D.L. 14 agosto 2020, n. 104 (cd. decreto “Agosto”). Vengono fissati nuovi limiti alla deducibilità, da 1/18 a 1/50, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, del maggiore valore attribuito in sede di rivalutazione alle attività immateriali d’impresa, in particolare avviamento e marchi, ma si dispone anche per una via alternativa, per avere la possibilità di ritornare alla deducibilità della quota di ammortamento di 1/18.

Premessa

Molto in breve, si ricorda che l’art. 110 del D.L. 14 agosto 2020, n. 104 (cd. decreto “Agosto”), convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, prevede, a favore delle società di capitali e degli enti commerciali che non adottano i principi contabili internazionali, la possibilità di effettuare la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni risultanti dal bilancio dell'esercizio in corso al 31 dicembre 2019.

La rivalutazione avviene anche in deroga ai vincoli giuridici disposti dall'art. 2426 c.c. e da altre disposizioni normative. Tali vincoli sono posti al fine di evitare che gli amministratori perseguano comportamenti opportunistici, volti ad accrescere o ridurre il patrimonio aziendale rispetto al valore che risulterebbe dall'applicazione di principi di valutazione convenzionalmente accettati, utilizzati per conferire omogeneità alle determinazioni quantitative d'azienda. In generale, i beni destinati a partecipare per più esercizi all'attività produttiva (immobilizzazioni) devono essere iscritti in base al costo di acquisto o di produzione, e sistematicamente ammortizzati, per cui una quota del loro valore deve essere sottratta in ogni esercizio, in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione.

La rivalutazione:

  • deve essere eseguita nel bilancio o rendiconto dell'esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019;
  • può essere effettuata distintamente per ciascun bene;
  • deve essere annotata nel relativo inventario e nella nota integrativa.

Pertanto, non sussiste l’obbligo di rivalutare la categoria omogenea (ad esempio, tutti gli impianti, tutti gli immobili, ecc.).

Per effetto dell’art. 1-bis del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, detta rivalutazione, oltre a potersi effettuare nel bilancio o nel rendiconto successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, può essere eseguita anche nel bilancio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2020, ma:

  • solo con riferimento ai beni non rivalutati nel bilancio precedente;
  • senza la possibilità di affrancamento del saldo attivo (con applicazione di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e delle addizionali, nella misura del 10 per cento);
  • senza il riconoscimento degli altri effetti fiscali (riconoscimento del maggiore valore di beni e partecipazioni ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, con il versamento di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP nella misura del 3 per cento).

Le imprese che hanno l’esercizio non coincidente con l’anno solare possono eseguire la rivalutazione nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2019, se approvato successivamente alla data di entrata in vigore della legge 13 ottobre 2020, n. 126 (14 ottobre 2020), a condizione che i beni d’impresa e le partecipazioni risultino dal bilancio dell’esercizio precedente.

Deve essere evidenziato che il prefato art. 110 richiama l’art. 15 della legge 21 novembre 2000, n. 342, con la conseguenza che rientrano tra i soggetti che possono rivalutare anche:

  • gli imprenditori individuali e le società di persone in contabilità sia semplificata, che ordinaria;
  • gli enti pubblici e privati che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, residenti nel territorio dello Stato;
  • le società e gli enti di ogni tipo non residenti nel territorio dello Stato.

Il saldo attivo della rivalutazione può essere affrancato, in tutto o in parte, con l'applicazione in capo alla società di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali, nella misura del 10 per cento.

Il maggiore valore attribuito ai beni e alle partecipazioni può essere riconosciuto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, mediante il versamento di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, nella misura del 3 per cento per i beni ammortizzabili e non ammortizzabili.

Si fa notare che la disposizione non obbliga la società a eseguire anche la rivalutazione “fiscale”, ma pone una scelta, ossia, per avere il riconoscimento fiscale del maggiore valore dei beni rivalutati, è necessario il versamento della suddetta imposta sostitutiva. In mancanza, la rivalutazione ha solo valore civilistico.

Si ricorda, infine, che la legge di bilancio 2021 (art. 1, comma 83, della legge 30 dicembre 2020, n. 178) ha aggiunto, nel richiamato art. 110, un nuovo comma 8-bis, per effetto del quale viene estesa la possibilità di rivalutare i beni d’impresa, stabilita dall’art. 14 della legge n. 342/2000, prevedendone l'applicabilità anche all’avviamento e alle altre attività immateriali risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2019. Il maggiore valore attribuito ai beni può essere riconosciuto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, mediante il versamento di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP, nella misura del 3 per cento per i beni ammortizzabili e non ammortizzabili. Il saldo attivo della rivalutazione può essere affrancato, in tutto o in parte, con l'applicazione in capo alla società di un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell'IRAP e di eventuali addizionali, nella misura del 10 per cento.

Ne consegue che è possibile ottenere il riconoscimento fiscale dei disallineamenti a qualunque titolo esistenti tra il valore di bilancio e il valore fiscale dell’avviamento e delle altre attività immateriali, che, in genere, derivano da riorganizzazioni aziendali.

La legge di bilancio 2022

Proprio quest’ultima disposizione è stata oggetto di modifica, in quanto è fuori dubbio la convenienza fiscale dell’operazione, volta anche a fare emergere valori latenti di beni attraverso il versamento di un’imposta sostitutiva particolarmente bassa (3 per cento). A fronte di un esiguo versamento, all’impresa viene data la possibilità di usufruire di maggiori quote di ammortamento che, naturalmente, riducono il carico fiscale.

L’art. 1, commi da 622 a 624, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di bilancio 2022), mira, dunque, a mitigare gli effetti dirompenti per le casse erariali causati dalla rivalutazione dell’avviamento e di altre attività immateriali, introducendo i commi 8-ter e 8-quater nell’art. 110 del D.L. n. 104/2020.

Nello specifico, il comma 8-ter dispone che, per le attività immateriali le cui quote di ammortamento, ai sensi dell’art. 103 del TUIR, sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del costo o del valore, la deduzione deve essere effettuata, in ogni caso, in misura non superiore, per ciascun periodo d’imposta, a un cinquantesimo di detto importo (in sostanza, in almeno 50 anni).

Si fa notare che la norma richiama l’art. 103 del TUIR, che tratta dell’ammortamento dei beni immateriali, ossia dei diritti di utilizzazione di opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, nonché dei marchi e dell’avviamento.

Tuttavia, solo questi due ultimi sono interessati dalla novella, visto che sono beni le cui quote di ammortamento si deducono in misura non superiore a un diciottesimo del costo o del valore.

Come precisato dal primo periodo del citato comma 8-ter, il regime di deduzione del maggiore importo in 50 anni opera in ogni caso. In tale contesto, i successivi secondo e terzo periodo specificano, in buona sostanza, che detto regime non muta, qualora:

  • il soggetto perda la disponibilità del bene rivalutato/riallineato ovvero
  • non presenti più in bilancio il costo relativo all’attività immateriale oggetto di riallineamento ai sensi del comma 8-bis del citato art. 110.

Sono fissate, quindi, le modalità di deduzione delle componenti negative derivanti dalla cessione di tali beni a titolo oneroso, ovvero dalla loro estromissione.

In particolare, nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore o, ancora, di eliminazione dal complesso produttivo di tali attività, l’eventuale minusvalenza è deducibile:

  • per il cedente, fino a concorrenza del valore residuo del maggiore valore dei marchi e dell’avviamento, scaturente dalla rivalutazione o dal riallineamento, in quote costanti per il residuo periodo di ammortamento, come determinato secondo i limiti introdotti;
  • per l’avente causa, invece, la quota di costo riferibile al residuo valore ammortizzabile del predetto maggiore valore, al netto dell’eventuale minusvalenza dedotta dal dante causa, è ammessa in deduzione in quote costanti per il residuo periodo di ammortamento.

Come chiarito nella relazione illustrativa, in tali casi, il regime si trasferisce sull'eventuale minusvalenza realizzata dal dante causa e/o sulla quota di costo riferibile al residuo valore ammortizzabile del maggiore valore rivalutato/riallineato, sostenuta dall'avente causa.

La stessa relazione propone sull’applicazione di queste disposizioni tre esempi, che di seguito vengono riportati.

Si ipotizzi un marchio iscritto a 100 e rivalutato a 1.100, con un piano di ammortamento residuo, riferito al valore di 100 (costo iniziale al lordo delle quote di ammortamento già dedotte pari a 180), di 10 anni, ceduto a 600 dopo 6 anni. Il marchio avrà un valore fiscale, al momento della cessione, di 920, in quanto la quota residua di 100, da ammortizzare in 10 anni, avrà un valore fiscale di 40 (ammortamento di 10 l’anno), mentre il maggiore valore rivalutato/riallineato pari a 1.000 si ammortizzerà in 50 anni (pari a 20 l’anno), con la conseguenza che, al termine del sesto anno, la quota residua del maggiore valore rivalutato/riallineato, da ammortizzare in 50 anni, si è ridotta a 880 (avendo già ammortizzato 120 al termine dei 6 anni). Il cedente realizza, quindi, una minusvalenza di 320, sulla quale trasferisce il regime di deducibilità in quote costanti per il residuo periodo di ammortamento di 44 anni. Il cessionario, invece, proseguirà sull’importo di 560 il regime di deducibilità per 44 anni [pari alla quota residua del maggiore valore rivalutato (880) al netto della minusvalenza (320) dedotta dal cedente in quote costanti per 44 anni], mentre la residua quota di 40 sarà soggetta ad ammortamento per 18 anni secondo le regole ordinarie.

Si ipotizzi, ancora, un marchio iscritto a 700 e rivalutato a 1.200, con un piano di ammortamento residuo, riferito al valore di 700 (costo iniziale al lordo delle quote di ammortamento già dedotte pari a 1.260), di 10 anni, ceduto a 800 dopo 6 anni. Il marchio avrà un valore fiscale, al momento della cessione, di 720, in quanto la quota residua di 700, da ammortizzare in 10 anni, avrà un valore fiscale di 280 (ammortamento di 70 l’anno e, quindi, risulterà ammortizzato al termine dei 6 anni già per 420), mentre il maggiore valore rivalutato/riallineato pari a 500 si ammortizzerà in 50 anni, pari a 10 l’anno, con la conseguenza che, al termine del sesto anno, la quota residua del maggiore valore rivalutato/riallineato da ammortizzare in 50 anni si è ridotta a 440 (avendo già ammortizzato 60 al termine dei 6 anni). Il cedente realizza, quindi, una plusvalenza di 80. Il cessionario, invece, proseguirà sull’importo di 440 il regime di deducibilità per 44 anni (pari alla quota residua del maggiore valore rivalutato), mentre la residua quota di 360 sarà soggetta ad ammortamento per 18 anni secondo le regole ordinarie.

Si ipotizzi, con riferimento all’esempio 2, che il marchio sia ceduto a 250, anziché a 800. In tale caso, il cedente realizza, quindi, una minusvalenza di 450. Poiché il valore residuo del maggiore valore rivalutato/riallineato ammortizzabile, pari a 440, è inferiore alla minusvalenza realizzata, il cedente dedurrà la minusvalenza fino a concorrenza di 440 in quote costanti per 44 anni, mentre la residua quota della minusvalenza, pari a 10, sarà dedotta secondo le regole ordinarie. In tale caso, ovviamente, il cessionario non applicherà il regime di deducibilità in questione e opererà l’ammortamento sull’intero costo di 250 per 18 anni.

La norma non prende in considerazione il caso di cessazione dell’attività e, quindi, il trattamento della residua deducibilità della minusvalenza. Sul punto si auspica un chiarimento ufficiale.

Le alternative

La novella prevede due alternative, derogando al regime sopra descritto.

La prima alternativa

Ai sensi del successivo comma 8-quater, si consente di effettuare la deduzione del maggiore valore imputato in misura non superiore, per ciascun periodo d’imposta, a un diciottesimo di detto importo, ritornando, dunque, al precedente regime, mediante il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali, nella misura corrispondente a quella stabilita per l’ipotesi di conferimento d’azienda dall’art. 176, comma 2-ter , del TUIR, e, cioè, con aliquota del:

  • 12 per cento sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro;
  • 14 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro;
  • 16 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 10 milioni di euro.

Nei fatti, per potere continuare a dedurre le quote di ammortamento dei marchi e dell’avviamento nella misura non superiore a un diciottesimo del valore rivalutato/riallineato, è necessario versare l’imposta sostitutiva scaglionata come sopra evidenziata.

L’imposta va applicata al netto dell’imposta sostitutiva al 3 per cento, determinata ai sensi del comma 4 dell’art. 110 menzionato, che si applica alla rivalutazione. Ne consegue che l’aliquota da applicare per determinare la quota di ammortamento a 1/18 del costo o del valore dell’avviamento o dei marchi scende:
- al 9 per cento sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro;
- all’11 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni di euro;
- al 13 per cento sulla parte dei maggiori valori che eccede 10 milioni di euro.

Il versamento di detta imposta va effettuato in un massimo di due rate di pari importo, di cui:

  • la prima con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relativo al periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita;
  • la seconda con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta successivo.

Il comma 623 chiarisce che, in deroga alle norme dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) che regolano l’efficacia delle leggi tributarie nel tempo, le modifiche in esame hanno effetto a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione e il riallineamento sono eseguiti.

Per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, le disposizioni si applicano in sede di redazione del bilancio relativo all’esercizio 2021.

La seconda alternativa

La seconda alternativa che, come chiarisce la relazione illustrativa, deriva dai “rilevanti impatti sulle decisioni di investimento delle imprese”, è contenuta nel comma 624.

Tale comma consente la revoca, anche parziale, dell’applicazione della disciplina fiscale della rivalutazione ai soggetti che, alla data di entrata in vigore dell’articolo (1° gennaio 2022), hanno provveduto al versamento delle imposte sostitutive, secondo modalità e termini da adottarsi con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

La revoca costituisce titolo per il rimborso ovvero per l’utilizzo in compensazione nel modello F24 (ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241) dell’importo delle imposte sostitutive versate, secondo modalità e termini da adottarsi con il medesimo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Brevi osservazioni

Le imprese che hanno proceduto a effettuare la rivalutazione o il riallineamento degli assets interessati devono prestare attenzione alle scelte previste dalle menzionate norme.

In prima battuta, l’aumento da 18 a 50 anni, riguardante la deducibilità fiscale delle quote di ammortamento attinenti ai marchi e all’avviamento, comporta una rideterminazione della fiscalità differita presente nel bilancio 2020 interessato dall’operazione di rivalutazione, nel momento in cui si prende la decisione di non modificare la vita utile già stimata.

Occorre poi valutare anche ciò che dispone l’OIC 24, al paragrafo 70, laddove viene precisato che:

Quando l’applicazione degli elementi di cui al paragrafo 68 determina una stima della vita utile dell’avviamento superiore ai 10 anni, occorrono fatti e circostanze oggettivi a supporto di tale stima. In ogni caso la vita utile dell’avviamento non può superare i 20 anni.”.

Un ammortamento dell’avviamento da applicare per 50 anni non risponde ai dettati dell’OIC.

Ancora. La scelta di utilizzare l’alternativa dell’ulteriore versamento dell’imposta sostitutiva (9, 11 e 13 per cento), per “rimanere” nella deducibilità fiscale di 1/18, comporta una diminuzione del patrimonio netto.

Infatti, non bisogna dimenticare che, qualora la rivalutazione venga effettuata con rilevanza anche fiscale, il saldo attivo da rivalutazione (riserva) deve essere evidenziato in bilancio per l’importo corrispondente ai maggiori valori iscritti al netto dell’imposta sostitutiva dovuta a tale fine (Assonime, circolare 5 marzo 2021, n. 6).

È fuori dubbio che l’ulteriore versamento dell’imposta sostitutiva del 9, 11 e 13 per cento diminuisce la riserva di rivalutazione, con conseguente riduzione del patrimonio netto. Questo incide sulle valutazioni che altri enti, come, per esempio, gli istituti finanziari, applicano in sede di esame della documentazione attinente al bilancio d’esercizio.

Da ultimo, la rinuncia alla rivalutazione fiscale, come alternativa, senza modificare gli effetti civilistici, comporta certamente un appesantimento del conto economico, dovuto ai maggiori ammortamenti fiscalmente indeducibili, ma anche una riduzione del patrimonio netto.

Infatti, qualora la rivalutazione abbia effetti solo civilistici, il saldo dovrà essere evidenziato al netto delle imposte differite passive da rilevare per tenere conto del fatto che i maggiori valori contabili iscritti a seguito della rivalutazione sono rimasti privi di riconoscimento fiscale.

Riferimenti normativi:

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